Dopo aver intrapreso un piccolo viaggio in un mondo dedicato al fegato e alla lingua, veniamo alla volta della maestosità della trippa. Questo prodotto, senza rivali, rientra a pieni voti nella gastronomia territoriale italiana e, al contrario di lingua e fegato, è molto più facile da reperire sia nei supermercati, sia a livello ristorativo. La trippa, comprende i prestomaci dei ruminanti (bovini). Questi animali, infatti, non possiedono solo uno stomaco come ad esempio i carnivori e gli onnivori come l'uomo, ma ne possiedono diversi. Singolare caratteristica, a dire il vero, ma molto utile, in quanto gli permette di digerire la cellulosa e fermentarla in modo da ottenere tutti i composti di cui hanno bisogno: l'uomo, ad esempio, non è in grado di ricavare energia dalla cellulosa al contrario degli erbivori. Questi prestomaci (omaso, abomaso, rumine, reticolo) vengono utilizzati per la produzione della trippa, sopratutto reticolo e rumine. Molte persone, sono convinte che la trippa sia un piatto di difficile digestione a causa della sua natura. In realtà, questo alimento, risulta pesante a causa dei condimenti ai quali viene associata. Questa è la composizione nutrizionale della trippa bovina per 100g di parte edibile:
Se volete acquistare una buona trippa, affidatevi al vostro macellaio di fiducia, che sicuramente potrà consigliarvi al meglio. Diffidate dalle trippe troppo chiare e preferite quelle "grigie" o scure, ovvero quelle che hanno ricevuto pochi trattamenti di lavorazione (lavata e scottata) e non sono state sbiancate e bollite. Scegliere una tipologia di trippa che ha subito diversi trattamenti, influenza naturalmente anche tutti i tempi di preparazione delle vostre ricette: una trippa scura e scottata, avrà tempi di cottura molto più lunghi rispetto ad una trippa sbiancata e bollita. In questo articolo, non vi consiglierò come cucinarla (ne avremo tutto il tempo), ma vi assicuro, che non basterebbero cento post per descrivere le migliaia di varianti regionali che questo piatto ci può offrire. Se avete piacere, però, vi consiglio di andare a cercare in questo blog, la ricetta "Trippa alla corsa" che pubblicai qualche tempo fa... quello è solo un assaggio, il resto a breve!
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Come se non fosse bastata un'annata pessima per olivicoltura, che in alcune zone della penisola ha toccato dei cali del 40% sulla produzione di olio a causa della mosca dell'olivo, anche il settore dell'apicoltura si trova a dover combattere un invasore che ha già fatto sentire la propria presenza nel Sud Italia, soprattutto in Calabria.
Aethina tumida, questo il nome del killer dell'apicoltura. Si tratta di un coleottero di piccole dimensioni (6 x 2 mm), che proviene dall'Africa Meridionale. Questo fastidioso insetto, si nutre del polline che riesce a reperire facilmente nelle arnie e nei favi. All'inizio del suo ciclo vitale, le uova assomigliano molto a quelle delle api, per cui non è sempre così facile riuscire ad identificarle. Le larve, invece, possiedono caratteri similari a quelle delle tarme della cera, se non fosse per dei piccoli arti nella parte anteriore. Questo stato fisiologico è sicuramente quello più dannoso: infatti è proprio nello stato larvale che il coleottero distrugge le cellette costruite dalle api per nutrirsi di polline e purtroppo anche di uova. Come se non bastasse, il loro ciclo vitale continua: raggiungono la porta dell'arnia e si lasciano cadere sul terreno e, dopo una periodo di metamorfosi, si trasformano in coleotteri dotati di ali che raggiungono nuovamente l'arnia alla ricerca di cibo e il ciclo ricomincia. I danni che può provocare questo infestante, non vanno tuttavia solo a scapito dell'arnia, ma anche del miele stesso, se l'apicoltore riesce ad ottenerne. Le feci di questo coleottero, infatti, causano il cambiamento di colore, le larve causano la comparsa di fenomeni fermentativi nel miele e di schiume. Cosa più tremenda, però, è che grandi infestazioni, causano lo sciamare delle stesse api. Probabilmente la domanda che vi starete ponendo è: "Esiste un rimedio? Un modo per evitare la distruzione dell'arnia?". Fortunatamente, esistono metodologie di natura chimica e non, che possono venirci in contro nella lotta a questo parassita. Uno dei più usati è sicuramente l'utilizzo del paradiclorobenzene (PDB), ovvero un composto altamente nocivo che serve a proteggere i favi immagazzinati vuoti. I rimedi naturali, invece, prevedono l'utilizzo di ferormoni, acidi organici ed estratti vegetali. Purtroppo un metodo, piuttosto drastico, consiste nel bruciare l'arnia. L'allarme è già scattato in Calabria e in Sicilia e, da metà Settembre, sono già quattro i casi rilevati, ma il Ministero della Salute si è messo al lavoro per attuare i controlli nelle zone colpiti con grande tempestività. In questo momento, il destino dell'apicoltura e del mercato del miele italiano è nelle mani degli esperti apicoltori e del Ministero per prevenire dei disastri di enorme entità che andrebbero a colpire un settore già in difficoltà. Immagini tratte da:
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Marco FurmentiCuoco e Dottore in Scienze Gastronomiche Archives
Aprile 2018
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