Un racconto per non dimenticare... Non l’ho mai visto guardare l’orologio, eppure è sempre stato lì appeso al muro bianco della cucina. Lui sapeva esattamente quando iniziare, per portare in tavola la polenta “alla mezza” come era solito dire a noi bambini. Grande lavoratore, il nonno, muratore da una vita, contadino per hobby, vignaiolo per necessità: non aveva mai preso in mano una pentola in vita sua… tranne quel paiolo di rame. Era un po’ la sua arma da guerra. La nonna plasmava da anni piatti di indiscutibile bontà: dalla carne al pesce, ai dolci alle superbe paste fresche, ma la polenta del nonno riusciremo difficilmente a scordarla. Non l’ho mai visto guardare l’orologio, eppure è sempre stato li', appeso al muro bianco della cucina. Lui sapeva esattamente quando iniziare, per portare in tavola la polenta “alla mezza” come era solito dire a noi bambini. Grande lavoratore, il nonno, muratore da una vita, contadino per hobby, vignaiolo per necessità: non aveva mai preso in mano una pentola in vita sua… tranne quel paiolo di rame. Era un po’ la sua arma da guerra. La nonna plasmava da anni piatti di indiscutibile bontà: dalla carne al pesce, ai dolci alle superbe paste fresche, ma la polenta del nonno riusciremo difficilmente a scordarla. Un sacco logoro in credenza, sempre quello, da quando ho avuto memoria, lasciava a stento intravedere quei granuli grezzi, spesso scuri simili ad un tesoro nascosto da qualche pirata in fuga. Non credo che in famiglia qualcuno si fosse mai avvicinato a quel tessuto di chissà quale epoca, eppure tutti ne conoscevano la posizione e il contenuto. Ogni domenica, con cadenza svizzera, il nonno lasciava il lavoro dell’orto, entrava in casa con passo pesante e austero brandendo in mano il suo paiolo e il mestolo in legno. In casa calava il silenzio… di li a poco si sarebbe compiuto un miracolo. Prima lo scroscio dell’acqua, poi il vapore, le bolle scoppiettanti e il tintinnio inconfondibile del sale che si adagia sul fondo della pentola. In quel momento, il sacco che passava il suo tempo relegato in credenza veniva aperto. Una cascata dorata illuminava la cucina e i nostri volti innocenti, mentre le braccia sapienti di quell’uomo prendevano vita in un vortice di acqua e farina dentro questo pozzo dei desideri. E ora? Adesso aspettiamo diceva lui. Mentre la vita scorreva ininterrottamente attorno a noi, il nonno e la pentola sembravano in un mondo loro fatto di amore e magia. Guai a chi tentava di avvicinarsi! Lui sapeva quando girare quella massa gialla. Lui sapeva quanto andava massaggiata. Lui sapeva quando sarebbe stata pronta. Noi eravamo armati di forchetta e in quelle frazioni di secondo in cui il nonno volgeva qualche sguardo ammiccante verso la consorte noi zompavamo accanto al paiolo per assaggiare. Si può dire che eravamo più attirati da questi momenti di alta tensione che al pranzo stesso. Ed è di nuovo il silenzio… è giunto il momento. Lo sguardo di speranza e amore dei coniugi muta in un segno di intima intesa. Da qui, lui torna ad impugnare il paiolo mentre lei estrae da una mensola un grande tagliere. Con un gesto degno di un fabbro e un colpo secco, l’enorme pentola è rovesciata su quel pezzo di legno. Silenzio… lungo, infinito. Anche i nonni trattengono il fiato.
“Sarà venuta?”. “Sarà abbastanza soda da rimanere sul tagliere?”. “Si sarà attaccata?”. “Ci sarà abbastanza crosta per tutti?” Con la stessa velocità con cui si tira via un cerotto, viene scoperchiato questo scrigno metallico dal quale fuoriesce una nube di bianco vapore e piano piano al diradarsi compare lei… Bella, gialla, morbida, formosa, rustica in grado di suscitare le emozioni più vere, rudi e profonde dell’uomo. Non serve altro. Un filo sottile di spago logoro per separare le spesse fette da questo sole che troneggia nel mezzo della tavola… ed è subito festa…
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Marco FurmentiCuoco e Dottore in Scienze Gastronomiche Archives
Aprile 2018
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