Dopo una lunga pausa dalle ricette artusiane, torniamo in carreggiata con un dolce. Sicuramente non uno dei più semplici: richiede tempo, attenzione e buoni ingredienti. Si tratta di uno dei dolci più classici della nostra tradizione: il babà.
La storia narra che questo dolce sia frutto dell'ingegno del re di Polonia Stanislao Leszczynsky, suocero di Luigi XV di Francia, che cercò di modificare il Kugelhupf. Cosa fece? Lo inzuppò nel rhum e lo chiamò Alì Babà, dall'omonimo personaggio de "Le Mille e una notte". In Francia divenne subito molto famoso col nome di Babà e poi si diffuse soprattutto nel Regno di Napoli. Questo dolce è conosciuto in due varianti: una classica a forma di fungo e una meno usata che è quella simile al Kugelhupf. La versione artusiana non è troppo diversa sa quella classica del babà anche se a parere mio leggermente meno dolce. Spero che i napoletani in ascolto non me ne vorranno a male. Questo è un dolce che vuol vedere la persona in viso, cioè per riuscire bene richiede pazienza ed attenzione. Ecco le dosi: Farina d'Ungheria o finissima, grammi 250. Burro, grammi 70. Zucchero in polvere, grammi 50. Uva sultanina, detta anche uva di Corinto, grammi 50. Uva malaga a cui vanno levati gli acini, grammi 30. Lievito di birra, grammi 30. Latte o, meglio, panna, decilitri 1 circa. Uova, n. 2 e un rosso. Marsala, una cucchiaiata. Rhum o cognac, una cucchiaiata. Candito tagliato a filetti, grammi 10. Sale, un pizzico. Odore di vainiglia. Con un quarto della detta farina e con un gocciolo del detto latte tiepido, s'intrida il lievito di birra e se ne formi un pane di giusta sodezza. A questo s'incida col coltello una croce, non perché esso e gli altri così fregiati abbiano paura delle streghe; ma perché a suo tempo diano segno del rigonfiamento necessario, ad ottenere il quale si pone a lievitare vicino al fuoco, a moderatissimo calore, entro a un vaso coperto in cui sia un gocciolo di latte. Intanto che esso lievita, per il che ci vorrà mezz'ora circa, scocciate le uova in una catinella e lavoratele collo zucchero; aggiungete dipoi il resto della farina, il panino lievitato, il burro sciolto e tiepido, la marsala e il rhum, e se l'impasto riuscisse troppo sodo, rammorbiditelo col latte tiepido. Lavoratelo molto col mestolo finché il composto non si distacchi dalla catinella, per ultimo gettateci l'uva e il candito, e mettetelo a lievitare. Quando avrà rigonfiato rimuovetelo un poco col mestolo e versatelo in uno stampo unto col burro e spolverizzato di zucchero a velo misto a farina. La forma migliore di stampo, per questo dolce, è quella di rame a costole; ma badate ch'esso dev'essere il doppio più grande del contenuto. Copritelo con un testo onde non prenda aria e ponetelo in caldana o entro un forno da campagna, pochissimo caldo, per lievitarlo; al che non basteranno forse due ore. Se la lievitatura riesce perfetta si vedrà il composto crescere del doppio, e cioè arrivare alla bocca dello stampo. Allora tirate a cuocerlo, avvertendo che nel frattempo non prenda aria. La cottura si conosce immergendo un fuscello di granata che devesi estrarre asciutto; nonostante lasciatelo ancora a prosciugare in forno a discreto calore, cosa questa necessaria a motivo della sua grossezza. Quando il Babà è sformato, se è ben cotto, deve avere il colore della corteccia del pane; spolverizzatelo di zucchero a velo. Servitelo freddo. Consigli pratici
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Marco FurmentiClasse 1992, cuoco, gastronomo e food and wine manager Archives
Giugno 2015
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