“Ricordati! Quando vai al sud piangi due volte: una volta quando vai e una quando torni”. Questa è una tiritera che ha fatto storia e devo ammettere che è stato difficile non pensarci nel corso di questo viaggio nelle terre campane. Tre giorni sono pochi per innamorarsi e per odiare un luogo, questo lo ammetto, però né l’andata verso Napoli né il ritorno a casa sono riusciti a strapparmi un pianto malinconico. Eppure le lacrime ci sono state… Le ho viste, le ho percepite e incredibilmente, sono riuscito ad assaggiarle. Non parlo solo di quelle lacrime fatte di acqua e sale che cadono dagli occhi in una giornata storta, ma di qualcosa di più, che ho percepito attraverso il cibo, il vino e le persone incontrate in questi territori. Città meravigliosa Napoli, indescrivibile da uno che non ha mai varcato quella invisibile linea che separa il nord d’Italia dal sud del mondo. Frenetica, a tratti chiassosa come una Milano nell’ora di punta, magica come la Venezia della Serenissima e prepotentemente spinta sul mare come la mia cara Trieste. Non saprei raccontarla meglio di così… Allegra sì, movimentata pure, proiettata verso il futuro, ma ricca di paure, di malinconia, di lacrime appunto. Attraverso i lunghi vicoli addobbati a festa, troneggiano corni e cornetti di un rosso sangue atti a scacciare la sfortuna. Nemmeno le migliaia di statue dei presepi sembrano gioire per l’arrivo di Nostro Signore: appaiono tristi nei loro visi grotteschi modellati a regola d’arte dagli artigiani del luogo. Nello splendore degli abiti e della loro fattura, non sembra trasparire la gioia del lieto evento. Ma tutti ridono a Napoli, tutti gridano e tutti mangiano, come se fosse sempre festa. Qui la scoperta delle lacrime più famose di Napoli. Da un soffice impasto di farina, uova e burro accuratamente mescolati e stressati nasce il Babà napoletano, emblema di una pasticceria italiana fatta di sostanza e pochi fronzoli. La lacrima? Sfumata, lenta, ma inesorabile se il babà è fatto a regola d’arte. È a base di rhum, il migliore, per conferire carica e carattere atte a scaldare il cuore. Lasciamo alle spalle la lacrima calda e avvolgente del Babà napoletano, per farci coccolare dalle dolci colline del Sannio. Un verde irreale, tanto che non pare lo stesso mondo del giorno prima. “Noi non c'entriamo niente con Napoli” afferma con voce ferma il nostro accompagnatore della Cantina di Solopaca… io ci credo. Fra i lunghi filari di vite ormai in cammino verso il riposo invernale, c’è il silenzio: solo il vento a disturbare l’inesorabile scorrere il tempo. Una cantina enorme, titanica per una zona fatta di piccoli borghi quasi abbandonati in provincia di Benevento. Curata nel dettaglio per dare soddisfazione al palato e all’occhio. Una storia interessante, quella della Cantina di Solopaca, ancora ben ancorata alla filosofia post-bellica della cantina sociale, ma che freme per volare lontano nel tempo e nello spazio. Falanghina, Aglianico, Moscato, Carrese del Sannio, Fiano, Greco e uvaggi di diverso genere accuratamente studiati soddisfano da cinquant’anni tutti i palati e tutte le tasche. Una qualità eccellente che si percepisce dalla cura nella presentazione, nell’ordine e soprattutto nelle parole di chi ci lavora quotidianamente. Una nota dolente… Qua e là delle bottiglie sporche, infangate… paiono proprio un errore, messe là a disturbare l’occhio. “Quelle bottiglie rappresentano uno dei nostri peggiori e migliori ricordi in questa cantina. Proprio un anno fa, una terribile alluvione ha colpito queste zone e la nostra cantina si è trovata completamente sommersa… Tutto sembrava perduto, fino a quando abbiamo deciso di usare proprio quelle bottiglie infangate come simbolo di una dura lotta per riprenderci. Non ci pareva vero, ma nel giro di pochi giorni fummo sommersi di ordini e il nostro punto vendita fu letteralmente invaso dalla gente del luogo che decise di acquistare i nostri prodotti per darci una mano a risollevarci: e così è stato! Ora però parliamo d’altro, che al solo pensiero mi vengono le lacrime agli occhi”. Queste sono le parole di Almerico e Pasquale, i nostri personali ciceroni in cantina… e queste sono le lacrime che ho percepito. Non sono stato in grado di vederle scorrere, ma le loro parole ne erano intrise. Lacrime di tristezza e gioia allo stesso tempo che oggi scorrono ancora dentro quelle bottiglie sporche di un fango scuro e fatto di speranze. Napoli, cara Napoli, allegra, vitale, superstiziosa e pia, a tal punto da aver dedicato uno degli uvaggi più famosi al Cristo. Alle pendici di un Vesuvio eterno, una terra nera ospita le vigne della Cantina del Vesuvio appoggiate dolcemente al fianco del vulcano con lo sguardo rivolto verso il golfo. Terra, fuoco, acqua e vento hanno reso il terroir di questa terra unico al mondo e non ne siamo consapevoli solo noi. “La leggenda vuole che Gesù Cristo, seduto sulla bocca del Vesuvio riconobbe in questa area una zona del paradiso rubatagli da Lucifero nel corso della sua caduta agli inferi… Tanta è stata la commozione nel vedere questo splendore, che gli cadde una lacrima che diede origine ai vigneti e così al vino: il Lacryma Christi”. Questa lacrima è da bere, accompagnata dal pane e dall’olio, in una triade mediterranea a tratti divina. Una lacrima celeste, per un olio santificato dalla purezza di queste terre su un letto del pane che dà la vita… La stessa vita che nasce dalle pendici del Vesuvio e che lui stesso è riuscito a portarsi via. Basta passare qualche ora ad Ercolano per capire come questa terra abbia dato tanto all’uomo per nutrirsi, ma che è in grado di toglierci tutto in un istante. Non esistono più il pane, l’olio e il vino fra quei mattoni, ma solo un infinito silenzio… E le lacrime? Nemmeno quelle ci sono più: sono finite, si sono asciugate nel tempo e a noi non resta che immaginarle scorrere dagli occhi della gente che ha vissuto la paura di perdere tutto. Non ho pianto sul treno d’andata… non ho pianto sul treno di ritorno, ma ora resto disteso su un letto dopo un viaggio intenso, a tratti mistico, fatto di gente, cibo, vino e soprattutto lacrime…
4 Commenti
Carmine
4/11/2016 08:29:00
Felici per avervi presentato il Sannio! Grazie!😊
Risposta
Marco Furmenti
8/11/2016 13:48:42
Per noi è stato un piacere ed un onore!
Risposta
8/11/2016 13:45:41
Bellissimo. Mi hai regalato un punto di vista diverso su giorni che ho avuto la fortuna di vivere in prima persona. Ma alle lacrime, forse percé campana, non ci avevo pensato. :)
Risposta
Marco Furmenti
8/11/2016 13:49:03
Grazie a te per essere passata!
Risposta
Lascia una risposta. |
Marco FurmentiCuoco e Dottore in Scienze Gastronomiche Archives
Aprile 2018
Categories
Tutto
|